sabato 26 aprile 2014

Bella ciao: risposta a Pansa



Caro direttore
Pansa ha scritto un altro libro della sua controstoria, Bella Ciao, edito da Rizzoli. Ho letto anche alcuni altri suoi testi, a partire da "Sangue dei vinti" e direi che, se i fatti possono essere inoppugnabili, non convincono alcune conclusioni. Intendiamoci: i conti con i fatti sono doverosi, anche se dolorosi. "La verità è sempre rivoluzionaria", scriveva quel Gramsci, da cui Pansa è abissalmente lontano. O, se vogliamo evangelicamente, "La verità ci farà liberi". E che la resistenza non sia stata un'allegra scampagnata di anime belle, con i buoni tutti da una parte ed i cattivi tutti dall'altra è un dato inoppugnabile; che la liberazione sia stata una lotta durissima, con nefandezze da ambo le parti, e con le relative vendette postume, è giusto che ce lo diciamo una volta per tutte. In questo Pansa ha fatto bene, e tutti quanti dovremmo prenderne atto ed essergliene grati. Però, c'è un però. Non si rende conto Pansa che, forse per colpire con accanimento la parte politica che a lungo è stata anche la sua, rischia di correggere in modo sbagliato e quindi di alterarare la memoria o la verità storica? Anche perchè, così facendo, nasconde volutamente o non volutamente la complessità del realtà, svolgendo una cattiva azione pedagogica o mostrandosi cattivo storico.
Del resto, a partire da Claudio Pavone, alla metà degli anni Ottanta, ben prima quindi della "conversione "del giornalista, gli storici più seri hanno interpretato la Resistenza come un intreccio, difficilmente separabile, di guerra di liberazione, di guerra civile, di guerra sociale. Al di là dell'esito principale, la sconfitta del nazifascismo e la liberazione dagli occupanti tedeschi, è evidente che le altre due componenti -guerra civile e guerrasociale- non posson essere nascoste, anche se alla fine ha prevalso lo spirito di riconciliazione da un lato (l'amnistia promossa dal ministro della giustizia dell'immediato dopoguerra, il comunista Palmiro Togliatti) e non si è scatenato nessun violento rivolgimento sociale. Possiamo dire per fortuna, ma anche per merito di gran parte dei dirigenti comunisti di allora, così vituperati da Pansa oggi, ma consapevoli allora che, nella divisione del mondo in due blocchi rigidi e contrapposti, un'insurrezione armata avrebbe portato ad una nuova guerra civile e ad un epilogo simile a quello greco. Questo per dire che, alla fine di tutto il suo lavoro, che cosa possiamo imparare da Pansa, al di là di fatti ed episodi, prima celati ed ora opportunamente da lui denunciati? Che negli ultimi anni di una guerra sanguinosa e dopo il ventennio di dittatura fascista, in un finale da tragedia quasi wagneriana, violenze, eccidi, vendette atroci, regolamenti di conti, l'eterno "guai a ai vinti" siano stati una prassi diffusa a destra ed a sinistra e non una rara e spiacevole eccezione? Certamente. Ad una condizione peraltro. Se non vogliamo confondere la doverosa operazione di verità storica con l'altrettanto doverosa fermezza in merito alle ragioni umane, politiche e morali di quanto è successo, inviterei a rileggere un passo del bel romanzo di Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno. In particolare le riflessioni del capitano Kim, che altro non sono se non il tentativo di individuare il senso profondo della lotta partigiana. Osserva il capitano Kim, alludendo ad alcuni componenti di un distaccamento partigiano:
"Il distaccamento del Dritto:ladruncoli,carabinieri,militi,borsaneristi, girovaghi. Gente che s'accomoda nelle piaghe della società, e s'arrangia in mezzo alle storture, che non ha niente da difendere e niente da cambiare. Oppure tarati fisicamente, o fissati, o fanatici....". Gente che combatte magari per un bisogno di istintivo e inconsapevole desiderio di riscatto, che, se capita, spara con furore, con odio contro gli uni o contro gli altri. Dove starebbe allora, si chiede il capo partigiano, la differenza tra lo spirito degli uni e lo spirito degli altri? La differenza sta nella storia: 
"C'è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro [i fascisti]dall'altra...Da noi niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro...tutto servirà a liberare noi ed i nostri figli, a costruire un'umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L'altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori; perduti e inutili anche se vincessero, perchè non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell'odio...." .
Ecco, vorrei che tutti noi tenessimo ben ferma la distinzione richiamata letterariamente da Calvino, tra oppressi ed oppressori, tra carnefici e vittime, senza per questo nasconderci nulla e senza trasformare la storia in un mito, in cui esistano solo buoni e cattivi, separati e distinti nettamente; ma anche senza costruire un altro e ben più pericoloso mito in cui vengono azzerate o dimenticate le ragioni ed i torti concreti degli uni e degli altri, cioè delle parti in lotta. La verità legata ai singoli fatti, pur necessaria, non deve essere disgiunta dalla riflessione storica, politica e morale, per evitare un' indistinta e confusa notte in cui tutte le vacche appaiono nere. 
14/02/2014
Mariuccio Bianchi

Fonte: varese news

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