martedì 19 aprile 2016

Referendum, dal 1946 al 2016


Un'arma spuntata



I bei tempi del 1974 (referendum sul divorzio) non torneranno più. Molte le concause: la caduta delle ideologie, le esagerazioni alla Pannella, alla Segni e quelle ambientaliste, la perdita di fiducia nelle istituzioni assaltate da arrivisti e arruffapopolo, apparentemente inamovibili,  la dilagante anticultura del ventennio berlusconiano, la crisi che colpisce un po' tutti, le paure ancestrali alimentate scientificamente dagli sciacalli della politica, lo sciocchezzaio del web, e, ciliegina finale, la pochezza degli attuali leaders politici. Bisogna rassegnarsi! Ma l'analisi dell'andamento dei flussi e dei quorum altalenanti, fatta la tara del fisiologico e ormai irreversibile decremento dei votanti, riserva talvolta delle sorprese. 
Dei settantuno quesiti referendari in 70 anni, tra abrogativi, confermativi, istituzionali e consultivi, ne ho votato sicuramente 70: mi manca solo quello istituzionale del 46 ovviamente. Ma confesso che di alcuni non  ho neppure una vaga memoria. Forse l'istituto referendario, messo a punto negli anni settanta nella sua forma abrogativa, è stato "leggermente" abusato, complice il Pannella del secondo periodo, il Segni e, ai giorni nostri, i "governatori" delle regioni. Alle questioni generali, a cui la gente può appassionarsi, sono state affiancate sempre più spesso quesiti secondari o esclusivamente tecnici, il cui appeal è quanto meno discutibile. E la gente non va.

Mi sembra inutile, ingiusto e infantile attribuire ai cittadini la "colpa" del mancato raggiungimento del quorum che fa capolino nel '90, per poi ripetersi nel '97, nel 2000, nel 2003, 2005, 2009 e infine nel 2016. Non è neppure la prima volta che accade, come domenica scorsa che un capo di governo spinga alla diserzione. Prima di Renzi lo aveva già fatto Craxi. 

La gente talvolta non va, talvolta va, talvolta offre risultati inaspettati, non allineati, trasversali, ma molto spesso antigovernativi, al di la di chi sia il potente del momento. E' successo nel 1974 col divorzio e la cosa si è ripetuta nel 2011 con l'acqua pubblica. Prudenza vorrebbe che alla fine del gioco nessuno si attribuisse un merito particolare, nè del raggiungimento del quorum, né del contrario  e tanto meno nella paternità della vittoria dei si. Ma c'è sempre uno "ciaone" di turno e spesso molti più di uno. 

La storia dei referendum, in sintesi. Qui la fonte completa dei dati
L'affluenza è stata sempre calante, dall'89,1% del 1946 si passa all'87,7% del 1974 (divorzio), quota altissima, ma sull'onda della novità e della voglia di modernità del tempo. 
Siamo già all'81% nel 1978 (ordine pubblico e finanziamento dei partiti), per planare al 77,9% del 1985 sulla scala mobile, con le firme raccolte dall'allora PCI.
Sul nuclare del 1987 si cende già al 65,1%, tuttavia con una stragrande vittoria degli abolizionisti.
Grandissima sorpresa nel 1989, al referendum consultivo per il conferimento del mandato costituente al Parlamento Europeo: votanti 80,7%, si all'88%.
Il primo campanello d'allarme nel 1990 su caccia e pesticidi: quorum non raggiunto (43% circa).
Rimonta nel 1991, per l'abolizione delle preferenze plurime alle elezioni nazionali (quorum 62,4%, stragrande affermazione dei si, al 95,6%). 
Nel 1993 si ritorna a votare con un lunghissimo pacchetto di quesiti, trainante il finanziamento pubblico dei partiti. Interessante la lettura delle percentuali dei si abrogazionisti, che hanno vinto su tutti i quesiti, ma con ampie differenziazioni: dal 905 al finanziamento pubblico dei partiti al 55% delle norme sulla droga. Difficile raccapezzarsi all'interno della "scheda lenzuolo", ma molti l'anno fatto.
Nel 1995, l'affluenza è al 56,9% e si tratta di quesiti molto tecnici su sindacato, RAI, soggiorno cautelare, legge elettorale dei comuni ecc: non me ne ricordo nulla! Solo una cosa mi è rimasta in mente: in quell'occasione il popolo televisivo si espresse per il mantenimento delle interruzioni pubblicitarie durante le trasmissioni televisive: quello era il popolo berlusconiano. Nessun disprezzo, per carità, non era colpa loro...
Nel 1997 altro tonfo referendario, con l'afflusso al 30%: c'era un po' di tutto: dalla golden share all'obiezione di coscienza, passando dalla caccia e dall'abolizione degli incarichi extragiudiziari ai magistrati. Richiamo: zero!
Anni 1999,  2000 e 2003: è l'era dei referendum targati Segni: affluenza rispettivamente 49,6% (abolizione del voto di lista per le elezioni del 25% dei deputati), al 32,2% (rimborsi elettorali magistratura ecc.), al 25% del 2003 (articolo 18, promosso da Rifondazione,  ed elettrodotti).
Tristissima parentesi quella del 2005; siamo all'apogeo della stella berlusconiana, che riesce ad oscurare la volontà di contare e di decidere dei cittadini sulla famigerata legge sui "diritti del concepito" e sulla fecondazione eterologa. Affluenza al 25,9%: parziale giustificazione dell'elettorato la particolare complessità etica della questione.
Nel 2001 si tiene il primo referendum confermativo, riguardante la revisione del titolo V della Costituzione, voluta anche in quel caso dalla sola maggioranza di allora (governo Amato). Nel 2006 si tiene il secondo referendum confermativo sulla riforma costituzionale del governo Berlusconi, anch'essa votata a colpi di maggioranza: vota il 52% degli aventi diritto e la riforma viene cassata dal 61,3% dei no (per fortuna!). Su questi due referendum particolari, per i quali non è previsto un quorum,  ritornerò in un prossimo articolo. 
Poi nel 2009 (21 e 22 giugno) i referendum sulle leggi elettorali, targati ancora Segni;   la maggior parte degli italiani è già alle Seichelles: va a votare solo il 23%. 
La sorpresa più ampia sicuramente il recupero del quorum ai referendum sull'acqua pubblica del 2011: si raggiunge quasi il 55 per cento, ma questa è storia contemporanea.



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