sabato 14 ottobre 2017

Controcorrente: il referendum del 22 ottobre, 1




"I veneti parlano e pensano veneto" 








Lo afferma il governatore Zaia.  Detta così può sembrare vagamente offensiva, riduttiva e un po' retrò come il tema farlocco della vignetta: una popolazione dialettofona e chiusa nel suo recinto di atavica arretratezza. Anche i muri sanno che non è così: il popolo veneto è ben altro.
Ma l'indizione del referendum del 22 ottobre, col suo carico di indeterminatezza, di approssimazione e  di ambiguità politica sembra voler sconfessare il giudizio più ottimistico.
Si prova, infatti, a relegare il popolo nel suo recinto, supponendolo incapace di capire la genesi e il vero significato di questa consultazione. Sul referendum del 22 ottobre bisogna, infatti,  raccontarla tutta..

Iniziamo dalla domanda, capolavoro di vacuità, ambiguità, furbesca al limite dell'offesa delle intelligenze:
VUOI CHE ALLA REGIONE DEL VENETO SIANO ATTRIBUITE ULTERIORI FORME E CONDIZIONI PARTICOLARI DI AUTONOMIA?

La cosa è già prevista dall'articolo 116 della Costituzione, ma nella domanda "prudentemente" nulla si dice su quali maggiori autonomie dovrebbe vertere l'ipotetica trattativa con lo Stato: peccato! Il successivo articolo 117 avrebbe fornito una nutrita lista tra cui scegliere. Eccola:
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

E inoltre: l'istruzione, la giustizia di pace, la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.

Tutte materie sulle quali è bene che l'inefficiente burocrazia regionale  non metta mano, e senza volere infierire tanto è meglio che in materia di tutela dell'ambiente, di tutela dell territorio e di beni culturali si taccia a livello regionale, visti i fantastici risultati già ottenuti con la legislazione concorrente. 

Tornando a noi, il referendum del 22 ottobre è l'ultima puntata, per fortuna in sordina, di un percorso politico-istituzionale, contraddistinto da velleità separatiste (del tipo col tricolore mi ci pulisco il c..)  e da più serie intuizioni di novità ordinamentali.
Qualcuno ricorda ancora la marea di invasati che annualmente invadevano le sorgenti del Po e Venezia nel mese di settembre per il rito dell'ampolla?  era il tempo della secessione della non mai definita Padania, in una visione anti-centralista, anti- italiana (il non riconoscimento della nazione italiana) e anti- meridionalista (il Sud che soffoca il Nord).

Più nobile e meno velleitaria l'idea di  federalismo, inteso come passaggio da uno Stato Centrale ad una federazione di
Stati regionali. L'idea, sviluppata dalla Fondazione Agnelli, prevedeva la riorganizzazione delle attuali Regioni in 10 grandi Regioni con dimensioni demografiche, economiche e sociali tali da sostenere il peso della organizzazione federale. L’unica Regione che sarebbe rimasta  immutata era la Lombardia, mentre per il Veneto si prevedeva l’unificazione con il Trentino, l’Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia.

Si muoveva in quegli anni anche il regionalismo, inteso come potenziamento delle Regioni a statuto ordinario. In questo caso venivano prese ad esempio le Regioni Italiane con uno statuto speciale come la Sicilia, il Friuli Venezia Giulia, la Valle D’Aosta e le Province Autonome di Trento e
di Bolzano. Tutti fulgidi esempi di sanguisughe della comunità nazionale, ognuna con le sue peculiarità, varianti dall'efficientismo altoatesino (sin troppo facile con la marea di denaro di cui erano e sono irrorati) e le collusioni aperte o sotto traccia con la delinquenza mafiosa della Sicilia.
L’idea del regionalismo “potenziato” trovò spazio soprattutto in Veneto in quanto regione a statuto ordinario  “circondata” da altre a statuto speciale.

In quel clima federalista di moda nel fine millennio,  il centro sinistra di D'Alema, tentando di esorcizzare le velleità separatiste montanti,   produce la riforma del Titolo  V della Costituzione  che viene portata al referendum consultivo del 7 ottobre 2001, ottenendo una affluenza pari al 34% degli elettori, che in grandissima parte (95%) la approvano con un SI.
Il Titolo V riformato riconosce alle Regioni una maggiore autonomia legislativa, articolata sui 3 livelli di competenza:
esclusiva o piena (le Regioni sono equiparate allo Stato nella facoltà di legiferare);
concorrente o ripartita (le Regioni legiferano con leggi vincolate al rispetto dei principi fondamentali, dettati in singole materie, dalle leggi dello Stato);
di attuazione delle leggi dello Stato (le Regioni legiferano nel rispetto delle leggi statali, adattandole alle esigenze locali).
Proprio questa riforma introduce gli articoli 116 e 117 citati sopra, ma sconta ancora ai giorni nostri, con i numerosi ricorsi alla suprema Corte, l'indeterminatezza della precisa ripartizione tra legislazione esclusiva e concorrente. 

Zaia sta tentando adesso di rimontare questo cavallo stanco, lasciando intendere che il referendum consultivo
e don Chisciotte tornò solo..
sarebbe il primo passo per avviarsi ad un'autonomia potenziata se non verso lo statuto speciale. Balle, adatte solo per i gonzi: la Costituzione non lo prevede e non può essere cambiata per impulso dal basso, ma attraverso una legge costituzionale in parlamento.

Segue qui






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